Mi piace pensare al mio lavoro come a un racconto corale, a una trama di immagini che tiene insieme tante storie affiancate, intrecciate, anche forse qua e là discordanti fra loro. Affronto da sempre temi molto diversi, procedo con il sistema dei vasi comunicanti fra i vari ambiti della fotografia, faccio incursione nella moda e sono profondamente toccata dal ritratto. Ho una curiosità onnivora: tutto mi seduce, tutto mi interessa, tutto mi ferisce. Pertanto ogni fotografia è una dichiarazione d’amore, di un amore profondo per il soggetto che scelgo di raccontare. Ma come ogni dichiarazione d’amore non può essere ripetuta. Allora bisogna trovare le parole giuste, il taglio, il tono, la convinzione: per un senso di lealtà nei confronti del mio soggetto ogni volta cambio approccio. Le giravolte, le metamorfosi, le virate di forma e struttura sono il mio modo di procedere. Non per una sorta di volubilità artistica, ma per la necessità di trovare la forma adeguata a esprimere l’idea, a renderla visibile. E questo perché sono convinta che per ogni storia che si vuole raccontare, per ogni concetto che si vuole esprimere, esista da qualche parte una forma – una sola – in attesa di rendersi contenitore e mezzo, una forma dentro la quale organizzare l’idea. Sarà un pensiero romantico, ma è legato indissolubilmente al mio fare fotografia. Perciò ogni progetto che affronto si porta appresso un punto di vista, mentale ed emotivo prima ancora che formale, nuovo e per me irripetibile. E tuttavia vedo unità profonda in ciò che faccio: un fil rouge lega sempre in un dialogo tra loro i miei progetti, e quindi alla fine, allo stesso modo delle assonanze in una filastrocca che creano una parziale identità di suoni tra due o più versi, i miei progetti hanno elementi ricorrenti che si traducono sempre in una parziale identità di forma e di visione, sono una filastrocca in immagini. Mi piace vederli in questo modo. Perché in fondo faccio sempre la stessa foto: un’immagine delicata, apparentemente inoffensiva, sempre in punta di piedi. Ma trovo curioso che immagini in apparenza innocue possano poi rivelarsi cariche di sentimenti, in qualche modo pronte a esplodere, e che tornino a galla nella mente dello spettatore solo tempo dopo sotto forma di domande.
Alice Pavesi Fiori

Nasce nel 1984 a Parma, dove attualmente risiede. Nel 2006 si diploma in Fotografia all’Istituto Europeo di Design di Milano e diventa membro dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti. È un’autrice indipendente, che lavora principalmente su progetti personali a carattere ritrattistico rivolti sia alla documentazione sociale sia alla moda. Questa sua scelta è dettata in gran parte dall’interesse profondo per l’elemento umano, per le storie, reali o solo immaginate, che ogni individuo si porta appresso, per le biografie dietro alle facce. Scatta con vecchie macchine analogiche e pellicole difficilmente reperibili che cerca personalmente in Asia Centrale e Orientale. Le sue immagini nascono dalla passione per il racconto di mondi reali o sognati, e talvolta le sue storie diventano anche testi scritti o articoli giornalistici. Negli anni il suo lavoro ha ricevuto molti premi e menzioni, tra cui il Canon Prize for Young Photographers, il Sony World Photography Award, l’International Photography Award, il Taylor Wessing Photographic Portrait Prize, il Nikon Talent Award. Le sue foto sono state pubblicate tra gli altri da Sunday Times Magazine, Vanity Fair, The New York Times, The International Herald Tribune, Io Donna, Sette. Il suo lavoro è distribuito da Luz Photo Agency.
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Firma dell’autore sugli esemplari I e VI
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9 stampe cm 27 x 27 numerate progessivamente da I a IX.
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